Eccellenze a perdere
C’è ancora chi crede nella favola del “merito”.
Poi ci sono i lavoratori, quelli veri, che vivono ogni giorno l’ossequiosa routine dell’ufficio. Quelli che sanno bene che il “merito” spesso si misura in sorrisi compiacenti ai superiori, in “sì, certo” detti a denti stretti e nella disponibilità incondizionata a fare il lavoro degli altri (purché qualcuno se ne accorga!).
Tuttavia, ci raccontano ogni giorno che bisogna costruire una Pubblica Amministrazione basata sulla meritocrazia. Ma la verità è che il merito è spesso e volentieri una semplice “etichetta di facciata”, una parola, nei fatti, svuotata della sua vera accezione e spesso strumentalizzata da chi, in realtà la pronuncia. Un’etichetta utilizzata per mascherare una realtà fatta di incapacità: incapacità di dirigere, organizzare, valorizzare.
Il risultato? Lavoratori messi gli uni contro gli altri alimentando un clima da reality aziendale, dove non si gareggia per migliorare il servizio pubblico, ma piuttosto per racimolare qualche euro in più o per guadagnarsi un riconoscimento che somiglia più a una pacca sulla spalla.
Questo non è il merito tanto osannato, ma solo gamification da quattro soldi. In questo contesto la valutazione della performance diviene un mero strumento ideologico, soggettivo e privo di qualsiasi imparzialità. Non favorisce la crescita, ma alimenta divisioni. Non migliora la qualità del lavoro: genera frustrazione, accentua le diseguaglianze e compromette il benessere organizzativo, che dovrebbe essere la priorità di ogni Amministrazione.
E vogliamo parlare dello strumento delle “eccellenze”?
Un meccanismo che ha prodotto un solo vero risultato: mettere i lavoratori gli uni contro gli altri per un riconoscimento tanto misero quanto inutile.
Una corsa ai punti, non un modello di crescita collettiva.
Noi diciamo basta.
Come organizzazione sindacale chiediamo l’eliminazione di questo sistema e una riflessione profonda sul modello di lavoro che vogliamo costruire. Perché finché “essere eccellenti” significa farsi notare da un capo inadeguato, il problema non siamo noi.
Mentre qui ci si accapiglia per bonus e valutazioni, nel resto d’Europa si sperimenta la settimana corta, la riduzione dell’orario a parità di salario, modelli che puntano sulla qualità della vita e sulla sostenibilità, non su una logica produttivista dell’Ottocento.
Noi vogliamo ripensare l’orario di lavoro.
Non per “lavorare meno”, ma per vivere meglio.
È ora di slegare la qualità del lavoro dalla presenza forzata in ufficio, dal tempo che passi seduto alla scrivania, dal finto attivismo da open space. La performance va misurata sugli obiettivi, non sul cronometro. Questo è lo spirito autentico del lavoro agile: tempo liberato, non tempo controllato.
Un’organizzazione del lavoro moderna deve rispettare e valorizzare chi lavora, nella sua totalità: come lavoratore, ma anche e soprattutto come persona, con la sua socialità ed il suo essere parte di una comunità.
Per questo non ci limitiamo a criticare: qui puoi leggere la nostra piattaforma programmatica sulle politiche del personale. (Contiene proposte, non paillettes.)
Scarica qui il Documento Programmatico per le politiche del personale di USB